Moreno Fortunato - Riflessioni

“La presenza del mistero”

Quando la luce tocca i nervi del mio occhio, allora si forma un’immagine nella mia mente ed essa spunta nella mia coscienza… “io vedo la luce dell’Arte”…e se è autentica per quanto io possa essere ingolfato nel mondo dei sensi…posso dipingere la natura, un panorama, fare un ritratto o qualsiasi altra cosa, ma (leggi tutto...)

“Sacro fuoco”

Spesso ho “remato” faticosamente e mi sembrava di non andare avanti nemmeno di un centimetro, spesso mi sono demoralizzato e ho lasciato stare, ma poi, sono stato di nuovo spinto a riprendere e proseguire (leggi tutto...)

“Oltre l’apparenza delle cose”

Per scoprire qualcosa in più di me stesso non basta solo il pensare, perché il pensiero riflette solo la mia coscienza…l’Arte va oltre il mentale conscio giù dentro fino all’inconscio, così io posso sperimentare ed andare oltre l’apparenza delle cose...

“La visione della fantasia”

Fare di me stesso il giudice e padrone di agire come se la forza dell’Arte derivasse esclusivamente da me è solo una grande illusione che m’imprigiona in questo mondo di spazio e tempo e mi fa perdere la visione della fantasia...

“Ricordi di giorni lontani”

La mia visione si arricchisce di una luce vellutata come vista dietro un vetro appannato dalla nebbia del tempo, ed è lì immutabile, a segnare una tappa della vita che inesorabilmente scorre lasciandomi ricordi di giorni lontani…forse felici...

“Unione armonica”

Devo riconoscere tutte le forme d’illusione, avere spirito di rinunzia per le banalità, per il commerciale, per il “bello”, liberarmi da limiti e circostanze che mi hanno imposto e accecato…è da questo spirito che nasce il (leggi tutto...)

“La fonte nascosta”

Imparare a conoscere la “voce” dell’Arte in ogni esperienza, scoprire la fonte nascosta in cui essa fluisce in modo che possa attingere a continui sviluppi e dare origine al sorgere di nuove opere, questo è il mio obiettivo...

“Determinata scelta”

Non sono un artista perché dipingendo, faccio un certo numero di quadri, perché mescolando dei colori improvviso varie tonalità, perché frequento mostre ed espongo in varie gallerie, essere Artista significa (leggi tutto...)

“Crescita creativa”

La capacità di crescita creativa, mi deve aiutare ad abbandonare i germi della “comoda” staticità e spingere sempre verso nuove volontà di ricerca...

“Rappresentare”

L’Arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità...

“Sofferto talento”

Mi è stato “piantato” nel mio cuore un seme che è cresciuto fino a sbocciare nell’Amore per un “sofferto talento” che fin dalla nascita non mi separa e mi conferma, che il destino di ognuno è scritto da sempre...

“Dono fortuito”

Arte è intermediaria e in relazione con il luogo in cui sorgono forze ed energie in rapporto tra loro, essa si manifesta più delle volte come dono fortuito…vi sono momenti in cui mi sento “posseduto”, divento (leggi tutto...)

“Danze continue... i colori del cielo”
Moltitudini di volatili che seguono le correnti del vento con il loro canto catturano l’attenzione, si sono appena elevati in volo dai fili della luce che tagliano come pentagrammi l’azzurro del cielo... Ogni spettacolo (leggi tutto...) della natura è composto da più aspetti alcuni più scenografici altri più pragmatici, a seconda di dove rivolgi lo sguardo puoi vedere aspetti differenti… Guarda! Sopra la tua testa in alto è lì che puoi vedere i colori del cielo, danze continue, un caos ordinato di colori e movimenti simile al suono di un’orchestra guidata da un sapiente direttore che elargisce la sua musica a chi ascolta. Osservo il cielo, quella miriade d’uccelli che volano e ballano, quell’affascinante danza guidata dal vento, quell’affascinante danza il cui ritmo viene spezzato da ogni virata dello stormo più grande, il volo fluido dei pennuti accompagna il giorno che mi sta lasciando...

“Il Capolavoro Atipico”

È costituito nel rifiuto coraggioso da parte dell’Artista di rinunciare a dipinti ripetitivi, modesti, o mediocri, e riconoscere che non è possibile produrre capolavori dopo capolavori. L’arte non è una merce da supermercato, e non è adatta per la vendita di massa. (leggi tutto...)

Quanti artisti conoscete che hanno prodotto soltanto dei capolavori per quaranta o cinquanta anni? Quanti hanno prodotto tremila canzoni o concerti indimenticabili? Gli artisti autentici hanno i giorni di crisi, le settimane di crisi e perfino gli anni di crisi. La maggior parte dei pittori, anche fra i più famosi, hanno realizzato pochi capolavori. Il resto della loro produzione era ordinaria e può includere numerose opere mediocri. Allora, va ricordato, che molti pittori hanno sperimentato con gli stili, tecniche, oggetti o mezzi diversi, producendo opere che sono molto differenti dal loro stile personale … Le cosiddette opere atipiche.
In Italia, non esiste un sostegno economico reale e una grande attenzione alla cultura come in altri paesi e pochi sono gli acquirenti che non si assicurino di considerare soprattutto l'ottica dell'investimento certo e calcolato. Lo svantaggio della sindrome del capolavoro atipico è che oggi la maggior parte del lavoro per essere commercializzato è costretto a una produzione troppo elevata e ripetitiva per sodisfare una distribuzione ampia che garantisca un maggior guadagno finanziario, se ciò non è possibile, il prodotto sarà rifiutato e fuori mercato; questo è un motivo per un abbandono rapido del capolavoro limitato, non in funzione al contenuto qualitativo, ma per mancanza quantitativa concepita per la massa. Con questi metodi si realizza un’enorme quantità di prodotti scadenti pronti per essere commercializzati. Come dicevo, accade che l'arte contemporanea sia iperproduttiva, spesso conformista e convenzionale. C'è una grande ricerca di consenso e questo va a discapito dell'originalità. I prodotti dell'attività umana sono divisi in due grandi categorie: i prodotti industriali e le opere d'arte. Le opere d'arte hanno due caratteristiche che le definiscono: l'estetica, che deriva dall’artisticità dell'opera d'arte, e la storicità, che la qualifica come prodotto nato in un certo periodo storico, ciò che è adatto qui e ora, in un altro luogo e in un altro momento può non esserlo più. Riuscire a capire quale forma artistica è migliore per sé e per il contesto in cui si lavora, fa parte dell'acquisizione di consapevolezza di un'artista; … il miglior piacere personale è quello che non lascia rimorso nella coscienza…
La vera opera non sarebbe mai rifiutata o sconosciuta se la critica avesse un vuoto di memoria e non fosse condizionata a decidere il risultato del lavoro dal nome dell’artista che l’ha realizzata… o dal suo curriculum. In questo mondo, dove la maggioranza gode mettersi in mostra, dove i mezzi tecnologici permettono di fare vetrina su tutto e tutti, senza rispettare la minima riservatezza è facile decidere che l’Arte è di qualità e valore solo se super pubblicizzata o si affianca a un nome già noto. All’occhio dell'intenditore il vero capolavoro, non sarebbe ignorato, esso giocherebbe un ruolo importante e le relative opere sarebbero riconosciute nella storia anche se anonime.
Quale sarebbe la soluzione a tutto questo?

Avere coraggio! … Non preoccuparsi di restare anonimi!... Sarà lo scorrere del tempo a decidere cosa resterà e cosa no.

“Foto Painting: Tra Tecnica, Arte e Creatività”

L’interrogazione sull’essenza della fotografia abbinata alla pittura, ha da sempre affascinato molti nel campo dell’Arte. Se dipingere sopra la base fotografica sia, o no un’opera d’Arte non è una domanda a cui è necessario dare una risposta come fosse una verità da svelare assolutamente. (leggi tutto...)

“Il Gusto del Collezionismo … Regalarsi la Storia”

Tutti siamo felici quando in qualche occasione ci vene fatto un regalo, a volte se questo tarda ad arrivare, ci pensiamo di persona a provvedere, del resto la vita è fatta anche di questo. (leggi tutto...)

Oggi molteplici sono le offerte e le scelte, quasi imbarazzanti, da non saper più cosa elargire o farsi donare, tanto da crearci una serie di domande: Cosa potrei regalare? Che cosa potrei farmi regalare?... martellanti e ripetitive da ingannarci nell’acquisto delle solite banalità prese tanto per “dovere” di farlo; sono sempre esistiti e continueranno a esistere gli oggetti inutili e a volte anche costosi che riempiranno le nostre case.
Mi ricordo, come fosse ieri, di un grande collezionista, che conobbi in occasione di una mia mostra, scomparso alcuni anni fa, che non esitava a “regalarsi” oggetti d’arte.
Egli era diventato un caro amico, era tra i primi a presentarsi all’apertura delle mie mostre ma non solo, pure, a quasi tutte le manifestazioni artistiche di un certo livello nazionale e internazionale.
Con i suoi occhialini sottili sulla punta del naso, catturava quelle opere, osservandole attentamente, pronto a mettere mano al portafoglio per assicurarsi quel lavoro che gli dava una certa emozione.
Ricordo di essere stato a casa sua una sola volta, e di aver visto come aveva sistemato i suoi “amori” alle pareti, sembrava di entrare in un museo, ogni opera era posta in modo elegante con la giusta luce e collocazione e tutto il resto per renderla più ammirabile.
Lo stesso dicasi di tutti i libri d’arte o monografici che riguardavano questo o quell’artista: ben ordinati nella libreria a essi destinata, costituivano un modo pratico e veloce per la consultazione offertasi agli ospiti appassionati magari ma meno fortunati.
La consultazione, diventava poi oggetto di arricchimento culturale per eventuali acquisti futuri, mi diceva: Certo, i libri come primo approccio nel mondo del collezionismo, sono più abbordabili, e non richiedono molto spazio o grandi investimenti, da li si può partire per conoscere i vari artisti, che però sono quasi tutti conosciuti e affermati, mentre la mia soddisfazione è trovare le cose giuste, con le proprie attenzioni, non capisco perché la gente non incominci a regalarsi la storia…
Con queste parole lasciate in eredità, ho capito, che nascono così le grandi collezioni private che garantiscono gioia al collezionista e grande soddisfazione del medesimo, quando potrà introdurre gli amici in vista nel suo museo.

Ho capito la responsabilità di un artista che lascia la sua traccia ai posteri e nuove pagine di storia.

“Perchè Opere in Bianco e Nero”

Vedere il mondo a colori o in bianco e nero non è assolutamente la stessa cosa, quindi passare da un modo di colori all’altro richiede un discreto sforzo. Perciò esiste una resistenza da parte di molti. (leggi tutto...)

Al giorno d’oggi, quindi, usare il bianco e nero è puramente una scelta artistica, non ci sono cause di forza maggiore che ci spingano ad impiegarlo. Molti però sostengono ancora la sua oggettiva superiorità. Hanno ragione? Come sempre, un po’ sì e un po’ no. Il colore potrebbe essere una grossa distrazione… Su una cosa dobbiamo essere tutti d’accordo. Creare un’opera in bianco e nero vuol dire rimuovere una cosa, il colore, appunto. Quindi, un lavoro in bianco e nero, o quasi totale assenza di colore, ha qualcosa di meno di uno a colori… Il colore è un elemento percettivamente molto forte, ovvero un elemento che attrae molto l’attenzione dell’osservatore. Di conseguenza, la sola presenza del colore può distogliere dagli altri elementi. Se poi si tratta di colori molto forti e brillanti, il loro effetto distraente è ancora maggiore. Passando al bianco e nero, quindi, togliamo una potenziale distrazione e rendiamo più forti altri elementi dell’opera. Ma quali?... per primo guadagnano più importanza gli aspetti grafici. In assenza di colore, tutto diventa gradazione di grigio. Così, non è più importante quale colore una superficie abbia, ma come contrasta o sfuma verso altri gradazioni di grigio. Infatti, lavorare sul contrasto è uno dei passaggi fondamentali per creare una buona conversione in bianco e nero. In bianco e nero, zone molto luminose diventano bianche o quasi, mentre zone fortemente in ombra si dirigono verso il nero. Al contempo, una luce morbida crea sfumature soffici e delicatissime. “Tutto più semplice”… un ottimo stratagemma per ottenere un lavoro di successo è semplificare, il bianco e nero ti aiuta anche a fare questo. In questo modo, puoi ridurre gli elementi distinguibili in una scena, se il colore era ciò che li distingueva. Così la scena diventa più chiara, di facile lettura e molto probabilmente più efficace. Il bianco e nero è più artistico... Questa sembra una di quelle affermazioni che di solito escono dalla bocca degli estremisti. Invece, in questo caso potremmo dire che è vera. Se valutiamo un opera a colori, possiamo affermare che viene percepita istintivamente come una rappresentazione 1:1 della realtà. Assume di primo acchito un valore documentaristico, di mera registrazione degli eventi. Però, la percezione iniziale è facilmente quella che ho appena descritto. Il bianco e nero invece, per sua natura si distanzia dalla realtà. Infatti, la realtà non è in bianco e nero. L’assenza del colore lascia maggiore spazio all’interpretazione. Anche questa è una peculiarità delle opere d’arte.

Allora il bianco e nero è un trucco per rendere belle tutte le opere? No, certamente no. In queste righe ho voluto condividere perché il bianco e nero o una pittura in mancanza quasi totale dell’uso del colore, può essere meglio. Però, non voglio assolutamente illudere all’idea che qualsiasi lavoro è sempre migliore in bianco e nero; che ogni opera monocromatica sia artistica.

“L’Artista Comunica”

… Volendo trovare una definizione del concetto di Arte, in un comune dizionario enciclopedico, sarebbe questa la frase che troveremmo: “Ogni attività dell’uomo, che produca e agisca sulla base di regole e (leggi tutto...)

“Antidoto”

"C’ è qualcosa che ci sta facendo del male.
Forse un male tenebroso, oscuro, che colpisce lo spirito e non il corpo.
Un virus letale del quale si sa poco o nulla.
Ci fa essere tesi, diffidenti, arrabbiati.
(leggi tutto...)

“La Visione della fantasia...”

“Per dire solo “poche” cose”
Trovare un metodo di operare ripetitivo e portarlo avanti fino all’esasperazione non è costruttivo e gratificante per l’autore e neppure per chi lo esamina, ma un “comodo” rifugio… (leggi tutto...)

…Pur rispettando il lavoro di ognuno, credo sia lodevole e importante per tutti, mettersi in mostra con qualche contemporanea riforma, soprattutto per le nuove generazioni che possono apprendere visivamente a raggio più esteso ciò che nel mondo succede, ciò che l’arte significa. Occorre superare, a mio avviso, i pericoli che la minacciano, come la ricerca ossessiva del guadagno, la profanazione fittizia dell’opera e del suo aspetto per una più facile commercializzazione. Non sono purtroppo poche, e si fanno sempre più evidenti, le proposte dei mass media, che offrono “l’arte a buon mercato”, illudendo gli acquirenti di aver fatto l’affare che si “rivaluterà” nel tempo … Pochi sono stati i pittori del passato, oggi affermati, che hanno venduto le loro opere, a cifre esorbitanti, quando erano in vita, purtroppo questa è una falsa “moda” contemporanea che arricchisce le tasche ai più “furbi”. Oggi si cerca di far spacciare l’arte più che per ciò che dovrebbe essere per quello che invece economicamente “vale”, identificando “artista” solo chi ha mercato di là da ciò che sta producendo. Questo è l’errore più ingannevole per un collezionista o per chi vuole avvicinarsi al mondo del mercato dell’arte…Tralasciare artisti che per le proprie decisioni non vogliono, o per motivi caratteriali, non riescono ad essere sull’onda del mercato non significa che non producono arte autentica.
Condivido pienamente chi compra l’arte soprattutto per “piacere”, e deve essere un piacere anche fisico, senza ossessionanti pensieri che l’opera, debba essere un acquisto a tutti i costi esclusivamente redditizio. Sarà il tempo a decidere il suo destino ed essa, da quando l’artista l’ha prodotta, inizia una sua autonoma vita, un suo percorso. Dipingendo, ho capito che non è così palese percepire determinate cose e ancor più difficile scrollarsi di dosso il desiderio di “prostituirsi” per il denaro. Mi ricordo, come fosse stato ieri, di un grande collezionista, che conobbi in occasione di una mia mostra, scomparso alcuni anni fa. Egli era diventato un caro amico, era tra i primi a presentarsi all’apertura delle mie mostre ma non solo, pure, a quasi tutte le manifestazioni artistiche di un certo livello nazionale e internazionale. Con i suoi occhialini sottili sulla punta del naso catturava quelle opere osservandole attentamente, pronto per assicurarsi quel lavoro che gli dava, esclusivamente, una certa emozione; non si preoccupava per niente del valore materiale, ma mirava al “colpo di fulmine”. Ricordo di essere stato a casa sua una sola volta, e di aver visto come aveva sistemato i suoi “amori” alle pareti, sembrava di entrare in un museo, ogni opera era posta in modo elegante con la giusta luce e collocazione e tutto il resto per renderla più ammirabile. Lo stesso dicasi di tutti i libri d’arte o monografici che riguardavano questo o quell’artista, ben ordinati nella libreria ad essi destinata, costituivano un modo pratico e veloce per la consultazione offertasi agli ospiti appassionati, magari meno fortunati. Certo, i libri come primo approccio nel mondo del collezionismo, sono più abbordabili, e non richiedono molto spazio o grandi investimenti. Da lì si può partire per conoscere i vari artisti, che sono già quasi tutti conosciuti e affermati, mentre la mia soddisfazione, diceva, è trovare le cose giuste, con le proprie attenzioni e non capisco perché la gente non incominci a darsi fiducia e regalarsi la storia… Con queste parole lasciate in eredità, ho capito, che nascono così le grandi collezioni private che garantiscono gioia al collezionista e gran soddisfazione del medesimo, quando potrà introdurre gli amici in vista nel suo “museo”… Ho capito, la responsabilità di un artista che lascia la sua traccia ai posteri e nuove pagine di storia…

“Oltrepassare le banalità”
Esporre dopo anni nella mia città, mi ha dato la volontà di avere a che fare con l’esplorazione e l’interpretazione dell’eredità del mio territorio, e di pensare una serie di lavori figurativi, che siano testimonianza di una realtà attuale, che personalmente, ora, sto vivendo.
Per esempio, quando dipingo scorci del mio paese, li sottraggo dalla quotidianità, e li colloco in quella dell’arte, così vale anche per i ritratti o qualsiasi altro soggetto, che diventa a prima vista essendo figurativo, “ più percepibile a tutti”, ma non convenzionale.
L’immagine si fa simbolo, s’arricchisce di una luce vellutata come se fosse vista dietro un vetro appannato dalla nebbia del tempo: ed è li, vera e immutabile, a segnare una tappa della mia vita che inesorabilmente scorre lasciandomi ricordi di giorni lontani, forse felici.
Cerco un’arte che pare uscire dallo scrigno delle cose preziose e rare che tengo gelosamente nascoste perché non vadano sciupate.
Le opere sono frutto della mia esperienza di vita e si espandono fiduciose per riflettere una mia visione culturale più ampia, la visione della fantasia, facendo conoscere che si può con “semplici” immagini oltrepassare la banalità.
Dedicare la propria vita all’arte, non è da tutti, non è così semplice, non bastano dei colori una tavolozza e dei pennelli, ci vuole ben altro, e soprattutto, non è facile.
Ciò che è facile, non ha vero valore: è come le cose che costano poco, mentre quelle preziose costano, eccome!... ma è un costo ben diverso.
Fare dell’Arte con la A maiuscola, costa coraggio, costa rischiare, viaggiare, testimoniare, studiare, costa essere informato su ciò che nel mondo succede, costa anni e scelte personali che non sono condivise personalmente da tutti, neppure da chi ti sta più vicino, e mi riferisco a chi avrebbe voluto di me, probabilmente più che un’artista, un imprenditore che portasse alla famiglia, onore e nome con la propria attività, certamente più redditizia e la lista potrebbe continuare per pagine intere ed è questo bagaglio d’elementi che rende l’artista sincero...

“Viaggio a senso unico”
Si è parlato molto dell’arte negli ultimi anni, e questa è a tal punto entrata a far parte della nostra vita che non è più molto difficile trovare anche nella nostra cittadina, una scuola o un istituto dove s’insegna, appunto a dipingere.
Eppure, credo che tutti i tipi di pittura o forme d’arte insegnati siano per lo più incompleti.
L’arte non è solo un metodo pratico o teorico, per ottenere un dipinto o costruire ciò che si vuole esprimere; l’arte è molto di più: è una vera espressione radicata nel più profondo di noi e in maniera diversa in ognuno, completa e dettagliata, che c’insegna come riconoscerci, identificarci, muoverci, agire e vivere in questa vita e anche in una prossima, basta solo saperla ascoltare, bisogna essere profondamente veri con se stessi e questo mi rende orgoglioso d’essere autodidatta.
Tutto il nostro pregio potrà così contribuire a migliorare la realtà, in primis quella che ci circonda, senza dimenticare che, per dirla con l’arte, ”… muore lentamente chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce o non risponde quando gli chiedono qualcosa che non sa.
Il mio approccio con l’arte, è stato sofferto, ho faticato molto per iniziare veramente, ero “spaventato” da discorsi scoraggianti, che mi avevano a volte condizionato, qualsiasi cosa facevo mi era dichiarata dai tanti, come qualche cosa d’inutile, superfluo.

Ogni volta mi si chiedeva che lavoro facessi, svincolavo rifiutando con pretesti inesistenti e trovavo scorciatoie per non rispondere che eseguivo uno “strano mestiere”: l’artista. Ero spesso riconosciuto come un vagabondo che non aveva voglia di lavorare, che passava il proprio tempo ad oziare, leggere libri ed andare in giro. Poi mi sono reso conto che molte delle cose che facevo erano una forma di meditazione che serviva a forgiare gli anni iniziali della mia vita sino a quando, crescendo, decisi di dare ordine ad un mio programma di lavoro e di “conquista”. Così, di tentativo in tentativo, il mio cammino è proseguito e spero prosegua sempre con maggiori soddisfazioni e gratificazioni, questa è la mia missione, il mio viaggio a senso unico…

“Pubblicità Sessista o Lesiva”

L’immagine della donna volge al totale cambiamento; XXI secolo…adesso sfoggiano corpi nudi e perfetti di belle donne per aumentare gli ascolti le vendite e l’interesse degli acquirenti: (leggi tutto...)

Varie sono le pubblicità che in questi anni hanno abusato della figura femminile, come se la donna esistesse solo per soddisfare i bisogni dell’uomo e non fosse dotata di virtù se non legate al proprio fisico, che però sono destinate a svanire col passare del tempo. È per questo che la donna ha paura di invecchiare e trova conforto nella chirurgia plastica che deforma i suoi tratti sino a renderla irriconoscibile. Ridotta a oggetto sessuale, impegnata ad una gara contro il tempo che la costringe a deformazioni mostruose, costretta a cornice e assunta al ruolo di conduttrice in trasmissioni inutili ove mai è richiesta alcuna competenza”. Una realtà che vediamo ogni giorno, immagini tanto frequenti a tal punto che il pubblico e i lettori sono abituati, infatti sfogliare un quotidiano e trovare il lato b di una donna raffigurato per tutta la pagina non desta scalpore, vedere delle donne dello spettacolo che hanno subito interventi chirurgici è normale, anzi è raro vederne una che accetti che le prime rughe solchino il suo viso.

Di pubblicità sessista si parla da tempo. In un momento come questo sono in molti a puntare il dito contro le campagne che mostrano le donne in atteggiamenti o situazioni svilenti. Come ha sottolineato anche la ministra per le Pari opportunità Josefa Idem "Le azioni richieste dalla convenzione di Istanbul sono per me un faro e con questa luce vorrei costruire, con tutte le forze politiche, le leggi che ancora non abbiamo". Con queste parole la ministra ha annunciato, in un incontro con le associazioni in tema di violenza alle donne, la proposta di stabilire ''alte sanzioni pecuniarie per tutte le pubblicità lesive dell'immagine della donna". In parallelo, l'Art directors club italiano, il club dei creativi pubblicitari del Paese, ha messo online una petizione per porre un freno alla pubblicità sessista (chi lo desidera la trova a questo indirizzo www.change.org e la può firmare).

"Negli ultimi dieci anni - spiega Giovanna Cosenza, presidente del corso di laurea in Scienze della comunicazione di Bologna - le campagne pubblicitarie italiane e i singoli spot hanno subito, senza dubbio, un calo di creatività. Il congelamento degli stereotipi di genere nelle pubblicità e l'utilizzo del sesso e della donna come oggetto sessuale sono spesso espedienti che nascondono una profonda mancanza di idee. Alcuni pubblicitari (non tutti, per fortuna ci sono le felici eccezioni) si nascondono dietro la scusa "è il pubblico che vuole questo" ma la verità è che siamo lontani anni luce dal periodo florido degli anni '80, quando alcune pubblicità erano quasi una forma d'arte. Il sessismo nelle réclame nasce da questo. Ma la realtà sociale, per fortuna, è migliore di quanto appare in tv o sui cartelloni pubblicitari".

Su 135 Paesi, l'Italia è tuttavia all'ottantesimo posto nella classifica della parità di genere stilata dal World Economic Forum, dopo l'Uruguay, il Botswana, il Perù e Cipro. "I media e la pubblicità nostrani - spiega Annamaria Testa, esperta di comunicazione e creatività - riflettono il clima generale del Paese e, riflettendolo, lo consolidano, lo amplificano e, in qualche modo, lo fanno apparire "normale", anche se così "normale" non è, come di recente ha ricordato anche Laura Boldrini".

Ma che cos'è che permette di definire "sessista" una pubblicità? Quali sono i campanelli d'allarme? Il tema è certamente delicato. "E' sessista - spiega Testa - una campagna che usa il corpo femminile come strumento di appeal sessuale per promuovere in modo non pertinente un prodotto (un pannello solare, un cibo, un programma software). Ma è sessista anche usare in maniera intensiva stereotipi che riducono l'identità delle donne all'essere "casalinghe" e basta. E' sessista la comunicazione che non mostra le donne come persone ma solo come automi che curano la casa e seducono".

GUARDA LA CAMPAGNA SHOCK

A fornire rappresentazioni simili sono spesso i prodotti per la pulizia o alimentari, che mostrano donne sorridenti, tutte con la zuppiera o il detersivo in mano e tutte con la stessa faccia. Scivolano invece sullo stereotipo ipersessualizzato, a volte fino al grottesco, alcune comunicazioni della moda o del lusso (profumi, superalcolici) e pubblicità locali che cercano la visibilità attraverso lo scandalo, tra doppi sensi grevi, giochi di parole imbarazzanti sbattuti sui manifesti, ragazze scosciate messe lì solo per catturare l'attenzione. "Qui non si tratta di essere bacchettoni - continua Testa - di censurare per censurare o di avere a tutti i costi la fobia del corpo nudo: si tratta invece di fornire, anche attraverso i media e la pubblicità, uno specchio più moderno, più vario, più vivo e meno misero delle donne italiane, rispettando, insieme alle persone, anche il pudore e la dignità dei corpi. Insomma, se devo far pubblicità ai reggiseni, posso mostrare una ragazza in reggiseno. Ma se devo farla a una linea di traghetti o a una marca di pompelmi, una ragazza in reggiseno che c'entra?".

Anche la pubblicità può, secondo i modelli che propone, contribuire o meno a modernizzare il Paese, non "modificando" il modo di comunicare ma rispondendo in modo tempestivo ai mutamenti del clima sociale e dell'immaginario collettivo. Così, negli anni Sessanta gli spot erano ottimisti, ingenui, entusiasti dei consumi, conservatori. Negli anni Settanta tutto è diventato più cauto e sobrio. Negli anni Ottanta c'e stato un periodo di fioritura creativa che ci ha regalato alcune delle campagne più divertenti e memorabili. Poi c'è stato l'avvento delle tv private, che hanno sdoganato le donne svestite (fenomeno ben raccontato da Lorella Zanardo nel documentario "Il corpo delle donne"), tanto che perfino i settimanali d'opinione hanno cominciato a pubblicare nudi in copertina. Nel giro di pochi anni, anche la pubblicità è diventata schizofrenica: da una parte zuccherose casalinghe e una marmellata di buoni sentimenti, dall'altra un uso sempre più disinvolto del corpo femminile come scorciatoia per catturare l'attenzione. "Direi che, più o meno, siamo ancora a questo punto - commenta Testa - anche se qualcosa sta cominciando a cambiare: le compagnie telefoniche che, fino a pochissimi anni fa, proponevano opulente ragazze in tutte le salse, adesso cercano, con alterni risultati, di comunicare con storie differenti".

Secondo la nota pubblicitaria, tutto il sistema dei media, pubblicità compresa, contribuisce ad amplificare e a orientare l'immaginario collettivo, sia femminile che maschile. "Il sistema dei media diffonde modelli di ruolo, stili di vita, sistemi di valori e di desideri, e chiunque lavori con il sistema dei media è tenuto ad assumersi la responsabilità dei messaggi che manda in giro. Le immagini e le narrazioni sono potenti, suggestive, si radicano nella memoria. E dunque sì, anche la rappresentazione pubblicitaria che viene fatta delle donne ha il suo peso".
Le aziende che fanno spot, insieme alle agenzie e ai media, si sono date da anni un organo di autodisciplina, lo IAP, L'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, che ha il compito di controllare che la pubblicità sia onesta, corretta, veritiera e non offensiva. Ogni cittadino può denunciare a questo istituto le campagne "sospette": lo IAP le giudica e può farle ritirare, agendo nel giro di pochi giorni.

"Nel corso degli anni - spiega Nadia Somma, presidente di Demetra, donne in aiuto - abbiamo assistito a una vera e propria escalation di immagini che mostrano corpi di donne ridotti a parti anatomiche, umiliate, violate, uccise. Tre anni fa, il gruppo Donne pensanti ha realizzato La vie en rose, una galleria di immagini di donne uccise, ferite, stuprate, infilate nei bagagliai, trascinate con guinzagli. Sono immagini che ci scorrono davanti agli occhi ogni giorno. Probabilmente non ricordiamo di averle viste ma la nostra mente le coglie a livello inconscio e subliminale, e l'immagine è molto più diretta e potente della parola. L'estetizzazione della violenza ci rende immuni da quell'indignazione e da quella repulsione che sarebbe normale provare, ed è questa la cosa più pericolosa".
"Stiamo non solo normalizzando e banalizzando la violenza - spiega Titti Carrano, presidente dell'Associazione D.i.Re - Donne in rete contro la violenza Onlus - ma la stiamo rendendo esteticamente attraente e "pulita". Addirittura una ditta italiana di detersivi, poco tempo fa, ha realizzato un cartellone pubblicitario dove, accanto al corpo disteso di una donna, c'era un uomo con uno straccio in mano e la scritta "elimina ogni traccia". Poi, pensando di evitare accuse di sessismo, ha realizzato la stessa immagine ma a ruoli invertiti. E' vero che cose del genere si possono segnalare allo Iap, ma dovremmo anche realizzare una commissione ad hoc, che censuri immagini dai contenuti violenti o umilianti nei confronti di qualunque persona. Non si tratta di moralismo ma di violazione della dignità umana".

“Segnaletica Ideologica”

Interessato all’estetica dei segnali indicativi stradali e informativi, realizzo delle opere con vena a volte ironica ma evidentemente riflessiva. Opero inserendo come nuova iconografia della comunicazione, notizie che fanno da messaggio ragionevole. (leggi tutto...)
Rappresento la strada con le sue strategie e i suoi avvenimenti, costruisco quadri nati e nutriti dalla continua relazione tra insegne, tra dati su viabilità, tangenziali e urbanistica pubblicitaria, raffiguro sgocciolature di ossido di carbonio, impolverate da patine di smog… Uso e interpreto la segnaletica stradale adattandola a situazioni, come nel caso di alcuni lavori, ad approfondite riflessioni sulla situazione sociale contemporanea, fatta di mescolanze e convivenze a volte forzate e mal tollerate. Affronto la problematica da un punto di vista contemporaneo, il divieto come l’uscita di emergenza, spesso usati, diventano simbologia necessaria, per un’evasione più cosciente. Il lavoro è una raccolta d'immagini prelevate dal vissuto attuale e personale, le sequenze vanno a formulare una sorta di lezione nella quale si prende in esame l'evoluzione e le conseguenze odierne. Nella percezione dello spazio urbano siamo soggetti ad infiniti richiami, sollecitazioni sensoriali, aggressioni percettive, le nostre sensazioni sono distratte, opacizzate da una sovrappopolazione di segni di simboli e insegne che indicano solo se stessi, il quotidiano diventa il luogo della percezione grigia, astratta, irrigidita; il colore somiglia a quello dello smog che respiriamo o a quello dell’asfalto che calpestiamo è purtroppo, la vita che tutti subiscono. E allora?... Allora si tratta di esorcizzare, di rendere visibile riflessiva questa patina di sporcizia, restituire stupore allo sguardo, sollevare gli occhi e sperare di vedere l’asfalto squarciato da un nuovo filo d’erba o da un fiore che sta per germogliare … ridando origine alla reale primordiale natura. La segnaletica stradale è proposta secondo un gran messaggio: i colori, le proporzioni, le scritte originali sono a volte rispettate, è piuttosto la loro disposizione e il rapporto il loro voler comunicare che viene a costituirsi, che suggerisce un dialogo nuovo. Da un tipo di trasmissione di semplice informazione, le targhe stradali diventano le voci, le memorie che consigliano la mia proposta di riflessione, la mia segnaletica ideologica…
(Testo dettatomi nel dormiveglia da una fata in una notte d’estate…)

“L’Arte”

Innanzi tutto, l’emozione! Soltanto dopo la comprensione! (Paul Gauguin)
Il principale nemico della creatività è il buonsenso. (Pablo Picasso)
Dipingere è facile quando non sai come si fa, ma molto difficile quando lo sai. (Edgar Degas)
Faccio sempre ciò che non so fare, per imparare come va fatto. (Vincent Van Gogh)
Il mondo di oggi non ha senso, perché dovrei dipingere quadri che ne hanno? (Pablo Picasso) (leggi tutto...)

<< A poco a poco le nuove generazioni, innamorate di meccanica e di sport, più sincere, più ciniche e più brutali, lasceranno l’arte nei musei e nelle biblioteche, come incomprensibili e inutili relitti del passato. Un artista che vede chiaro in questa fine prossima, come è avvenuto a me, cosa può fare?... Troppo duro sarebbe quello di cambiar mestiere, e pericoloso dal punto di vista alimentare. Ci sono, per lui, soltanto due strade: cercare di divertirsi e cercare di far quattrini. Dal momento che l’arte non è più il cibo che alimenta i migliori, l’artista può sfogarsi a suo talento in tutti i tentativi di nuove formule, in tutti i capricci della fantasia, Nell’arte il popolo non cerca più consolazione ed esaltazione; ma i raffinati, i ricchi, gli oziosi, i lambiccatori di quintessenze, cercano il nuovo, lo strano, l’originale, lo stravagante, lo scandaloso. E la celebrità significa, per un pittore, vendite, guadagni, fortuna, ricchezza. E ora, come sapete, son celebre, son ricco. Ma, quando son solo, fra me e me, non ho il coraggio di considerarmi un artista nel senso grande e antico della parola. Veri pittori furono Giotto e Tiziano, Rembrandt e Goya: io sono soltanto un amuseur public, che ha capito il suo tempo e ha sfruttato meglio che ha saputo, l’imbecillità, la vanità e la cupidigia dei suoi contemporanei. E’ un’amara confessione, la mia, più dolorosa di quel che vi possa sembrare, ma ha il merito di essere sincera>>. (Pablo Picasso)
Condivido che Picasso sia stato “mutevole” ed abbia validamente alimentato quel gruppo di individui che hanno distorto il concetto di arte dal novecento a seguire: critici, galleristi, studiosi vari. Credo alla sua sincerità e sono d’accordo con lui riguardo al fatto che non fosse un artista. L’arte è un’altra cosa… E il livello di profondità quando essa è tale ci lascia in genere senza fiato. Purtroppo le arti visive sono giunte ad un punto forse di non ritorno, in cui è vero tutto e il contrario di tutto e in cui gli “eletti” sono solo gli “artisti” quelli riconosciuti dal marketing system dell’arte, indipendentemente da ciò che producono.